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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Rosamaria Loretelli, L’invenzione del romanzo. Dall’oralità alla lettura silenziosa

[Laterza, Roma-Bari 2010]

L’invenzione del romanzo di Rosamaria Loretelli va ad aggiungersi agli studi che negli ultimi trent’anni, superati gli schematismi di Le origini del romanzo borghese di Ian Watt (1957), hanno ripercorso le origini del romanzo inglese – il novel – nei travagliati anni della prima modernità. Molti di questi, primo tra tutti The Origins of the English Novel, 1600-1740 di Michael McKeon (1987), ricostruiscono le trasformazioni ideologiche ed epistemologiche avvenute tra Sei e Settecento e il loro rapporto con il realismo nascente, interpretando le origini del romanzo in chiave tematica più che strettamente formale. Ma non è con tale filone critico che Loretelli intesse un dialogo esplicito; è invece con la history of the book, che grazie a una stimolante combinazione di bibliografia descrittiva, storia delle idee e antropologia si è di recente imposta nel dibattito angloamericano.

Con un ulteriore allontanamento dalla storiografia sulle origini del novel, sull’impianto della history of the book Loretelli innesta inoltre una solida prospettiva semiotica, in cui il formalismo classico si combina alle scienze cognitive. La tesi dell’Invenzione del romanzo è che la forma del novel si sia costituita in rapporto all’emergere della lettura silenziosa: riarticolando le modalità interpretative dei fruitori di romanzi, questa implicò un progressivo cambiamento delle strutture narrative. Introiettando funzioni che in passato erano affidate all’esecuzione orale e gestuale, i romanzi svilupparono, secondo Loretelli, nuove tecniche per tener desta la suspense; in particolare una nuova organizzazione della temporalità atta a soddisfare le esigenze di chi è intento a una lettura mentale, svincolata, quindi, da impedimenti materiali e da elementi extratestuali.

Le trame episodiche, cumulative e digressive che caratterizzavano le narrazioni concepite per un’esecuzione orale oppure per un regime misto in cui oralità e scrittura coesistevano vennero via via sostituite dalle trame unificate e dense di raccordi cronologici che caratterizzano invece la tradizione del realismo moderno. Loretelli inquadra questa trasformazione da più punti di vista. Per sottolineare le novità dei fenomeni in esame traccia una breve storia della lettura in Occidente, ma il grosso del suo studio si rivolge al contesto settecentesco, con un’attenzione, oltre che alle forme letterarie in sé, alle testimonianze storiche e, in pagine assai convincenti, alle teorie estetiche. Ad esempio, Loretelli collega le riflessioni di David Hume e di Samuel Johnson alle mutazioni in corso, evidenziando i rapporti tra la discussione sull’“unità” e sulla “suspense” delle nuove narrazioni e la percezione della temporalità del racconto che si accompagna alla lettura silenziosa.

L’unità delle trame si rivela così inscindibile dalle nuove pratiche di lettura: appare funzionale a stimolare le inferenze e dunque la tensione verso gli sviluppi narrativi, laddove molte narrazioni premoderne, come le Etiopiche di Eliodoro, sfruttavano a tal fine il “ritardo” causato da pause digressive, la cui presa emotiva era garantita dall’esecuzione orale e gestuale. Va da sé, naturalmente, che un processo “sovradeterminato” come le origini del romanzo renda le tesi forti particolarmente attaccabili. In quale misura, ad esempio, l’impiego all’interno delle trame di una logica rigorosamente causale, che Loretelli considera un frutto della lettura silenziosa, non è invece da ascriversi alla definizione e diffusione del materialismo empirico? E in quale misura la lettura silenziosa non è essa stessa un risultato dei massicci rivolgimenti sociali e ideologici avvenuti nel corso del Seicento? Ma è anche in virtù delle domande che solleva, e non solo delle risposte che offre, che L’invenzione del romanzo può rivendicare un posto di rilievo nella bibliografia sulle origini del novel.

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